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DOVE VA LA 500
Ogni tanto salta fuori nel mondiale una cosiddetta novità eccitante. Quella di cui si parla ormai da anni è il ritorno dei motori a quattro tempi nel motomondiale. Sembra, a sentire la Dorna - la società che gestisce il campionato - che l'arrivo dei 4T risolverà tutti i problemi economici della serie iridata che, nonostante le apparenze, non naviga nell'oro. E' un errore. Nessun cambiamento tecnico ha mai portato più denaro in un campionato, a meno che non ne abbia allargato le basi. Fino ad oggi, del resto, le novità tecniche sono sempre state esercitazioni delle case, molte volte addirittura fine a se stesse. Nel 1984, per esempio, la Honda, neanche a dirlo, tirò fuori la più complessa versione della sua NSR 500 mai prodotta: aveva il serbatoio del carburante sotto il motore e gli scarichi in alto, sopra le testate, protetti da un guscio, che altro non era che un finto serbatoio, per permettere al pilota di finire la corsa non completamente lessato. Freddie Spencer la guidò, proteggendosi gli avambracci con fasce di amianto, ma dopo aver fatto tutto il possibile (e forse anche qualcosa di impossibile) per far capire ai giapponesi che non era la strada giusta da seguire, chiese, ed ottenne, di riavere la sua vecchia NS tre cilindri nel GP di Germania, dopo un primo turno di prove nel quale con la nuova, meravigliosa creatura, non era andato oltre un misero 9° tempo.

Naturalmente, Fast Freddie, con quella vecchia tre cilindri, ex Lucchinelli, vinse, battendo Eddie Lawson, che comunque gli strappò egualmente a fine anno il titolo iridato. Se c'è una morale, in fondo a questa storia, è che non necessariamente nuovo è sinonimo di migliore. Non fu, quella NSR, definita da Kanemoto "più un sogno che una motocicletta", comunque l'unico tentativo di innovare le allora già potenti mezzo litro. Nel 1985, infatti, il team di Roberto Gallina fece debuttare la sua TGA1 e la Honda-Francia l'ELF-2. La prima utilizzava il motore Suzuki RG XR 45, la seconda il tre cilindri NS, volendo quei prototipi innovare sostanzialmente solo sulla ciclistica dei mezzi. Praticamente nello stesso periodo la Bimota esordì nell'Endurance con la sua "Tesi", un prototipo anch'esso innovativo sul piano telaistico e nel comparto delle sospensioni. Com'è facilmente intuibile in quegli anni sia le case che i piccoli costruttori cercarono veramente strade nuove, a dimostrazione che, al vertice della piramide del mondiale velocità, c'era la classe 500.

E lì bisognava confrontarsi. Un confronto, peraltro, che le case ufficiali presenti, e c'erano tutte e quattro, Honda, Yamaha, Suzuki e Kawasaki (oltre alla Cagiva che c'era pure lei, ma solo per noi italiani...), accettavano anche nel campo (Kawa esclusa) delle repliche, destinate ai piloti privati. Se dal '78 all''80, infatti, la Yamaha dominò la 500 con Roberts ed il suo quattro cilindri in linea, senza dubbio la moto più diffusa fra i privati fu la quattro cilindri in quadrato RG Suzuki, guidata da Franco Uncini, allora privato anch'egli, ma ai massimi livelli di eccellenza, tanto da conquistare un quarto posto assoluto nel motomondiale del 1981.

La filosofia di quel periodo dei grandi costruttori dunque era: seguiamo un paio di piloti ufficiali con moto che rappresentino lo stato dell'arte dell'attuale tecnologia e nell'anno successivo trasferiamo le innovazioni in una piccola serie destinata ai migliori privati. Fu una filosofia di successo, che probabilmente garantì anche soddisfacenti risultati economici. In momenti diversi, infatti, Suzuki ed Honda dominarono il mercato delle repliche, mentre la Yamaha rimase sempre in una nicchia, nella 500, naturalmente, perché la 250 fu per un lungo periodo praticamente il campionato monomarca delle bicilindriche di Iwata. A ben esaminare, dunque, l'attuale momento storico della 500, nella quale, oggi, è impossibile acquistare, nel vero senso di questo termine, una GP replica,, il passo indietro è evidente. Anche la supposta novità, introdotta dall'Aprilia nel '94 con la sua 400 bicilindrica portata poi alla cilindrata piena, esempio seguito dalla Honda che ha schierato anch'essa una V 2, non può essere definita soddisfacente. Entrambi i prototipi, infatti, non sono mai stati realmente competivi e se l'Aprilia, non ne ha mai costruito una versione per i piloti privati, quella messa in vendita dai giapponesi non si può dire che sia stato un successo.

Contrariamente al passato ci troviamo, infatti, di fronte solo ad una soluzione economica per dotare i piloti privati di moto con prestazioni appena sufficienti per gareggiare nella 500; non certo per metterli in condizioni di battersi con gli ufficiali, com'era negli anni '80. Fra le due tecnologie, quella, matura, delle 500 quattro cilindri e l'altra, più giovane, delle bicilindriche di grossa cubatura, c'è infatti un abisso per il momento non colmato, ed assolutamente nessun travaso di esperienza, dacché le bicilindriche si ispirano non alle mezzo litro, bensì alle 250. Sembra, addirittura, di essere tornati indietro con i tempi, diciamo a metà degli anni '70, quando i piloti con il portafoglio più sgonfio, magari per gareggiare in due cilindrate e raggranellare due rimborsi spese invece di uno solo, correvano nella classe 350 con una Yamaha bicilindrica e con la medesima moto, con un propulsore rialesato in modo da superare i 351 cc, si schieravano anche al via della 500. In questo senso i veri innovatori dell'epoca, i primi a pensare e sperare che con una bicilindrica si potessero fare i risultati di una quattro cilindri, furono i ragazzi dell' Aermacchi-Harley-Davidson, ve li ricordate? "Gilba" Milani ed Ezio Mascheroni, che portarono dapprima il loro bicilindrico ad acqua alla cilindrata di 391 cc, quindi addirittura a 420 cc, dotando un prototipo anche di una inedita alimentazione a quattro carburatori che fu guidata anche da GianFranco Bonera.

Dov'è dunque la novità, il colpo di genio, di quanti, oggi, hanno rispolverato soltanto un'idea finita in soffitta? Cosa credete, che se Jan Witteveen, l'ingegnere responsabile della progettazione di tutte le Aprilia da Gran Premio avesse il budget sufficiente, e gli uomini, non si getterebbe anche lui su un V-4, magari a disco rotante? Invece risulta molto più economico, sia nel caso dell'Aprilia che della Honda, progettare una "grossa" 250 e metterla sul mercato. Ma con quali reali possibilità di competere? Questa è anche la domanda che si pongono oggi i costruttori sul punto di decidere se investire o meno nel complesso e costoso motore quattro tempi per gareggiare nel motomondiale. Ne varrà la pena? Difficile rispondere. Verrebbe la voglia di dire di sì, ma solo se TUTTE le case supporteranno questo cambiamento epocale, il che significa anche costruire - dopo un necessario periodo di rodaggio nel quale propulsori a due e quattro tempo convivranno - motori, se non moto intere, destinate ai piloti privati. Ma se non lo hanno fatto negli ultimi anni con gli attuali motori, ormai collaudatissimi ed i cui costi di progettazione sono stati superammortizzati, perché dovrebbero farlo nel futuro?

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