L'ANTI-SPIN:
proibito in F.1, non piace ai motociclisti
In F.1 è ormai una tecnologia vietata, nella 500,
invece, la usano tutti anche se (quasi) nessuno vuole ammetterlo. Stiamo
parlando dell'anti-spin - in italiano dispositivo anti-slittamento - che
in soldoni vuol
dire che il pilota apre il gas ed un dispositivo elettronico si preoccupa
di gestire l'erogazione della potenza. Detto così sembra semplice, in
realtà il perfetto funzionamento dell'anti-spin, per le auto come le moto,
è un risultato difficile. Più per le moto, però e per due fondamentali
motivi: il primo è la maggiore imprevedibilità dei motori a due tempi,
ancora alimentati con carburatori invece che con la ben più precisa iniezione,
il secondo perché la moto ha solo due ruote, delle quali una, l'anteriore,
non sempre tocca l'asfalto. Per spiegare in modo ultra semplificato come
funziona un dispositivo antislittamento si può dire che esistono due sensori,
uno per ciascuna ruota, che controllano la velocità di rotazione. In teoria
le due ruote dovrebbero avere identica velocità, in pratica quella posteriore
tende a girare più velocemente per effetto del pattinamento, dovuto alla
dispersione della potenza sull'asfalto, effetto appunto della perdita
di aderenza. Quando
la velocità di rotazione della ruota anteriore e di quella posteriore
non coincidono dovrebbe intervenire l'anti-spin, che "taglia" l'erogazione
della potenza, intervenendo sull'anticipo dell'accensione, per riportare
la gomma posteriore in contatto continuo con l'asfalto. La moto, però,
non è un'auto: sotto l'effetto dell'accelerazione la ruota anteriore tende
a sollevarsi da terra. Ecco dunque la necessità di un altro sensore, questa
volta sulla forcella. La logica, in questo caso, è semplice: se la compressione
della forcella è compresa fra zero ed un centimetro significa che la ruota
non tocca terra, quindi si è in piena accelerazione e non conviene tagliare
la potenza. O non conviene tagliarla troppo. A giudicare in che percentuale
intervenire ci pensa un algoritmo matematico. Anche qui, semplificando
al massimo, si può
parlare di un discorso percentuale: l'erogazione della potenza, cioè,
può essere "tagliata" del 10%, fino al 35%, senza soluzioni di continuità.
Ci vogliono un sacco di calcoli, per fare questo lavoro e per questo motivo
la Yamaha YZR 500, per esempio, ha ben due centraline elettroniche che
si occupano della registrazione e della successiva elaborazione dei dati.
Non stiamo parlando di telemetria (trasmissioni di dati via radio), che
nelle moto è proibita, ma semplicemente di registrazione e, in alcuni
casi come quello dell'anti-spin, dell'attuazione di strategie di funzionamento
pre-elaborate. La logica è semplice: più dati sono in tuo possesso, più
ne possono essere elaborati e di conseguenza il controllo risulterà più
accurato. Questo è il motivo per cui, per esempio, la Yamaha utilizza
ben trentadue canali di registrazione che includono giri del motore, posizione
della manopola del gas, escursione delle sospensioni, marcia inserita,
detonazione nei cilindri, pressione nei cilindri, temperatura nei cilindri,
pressione applicata alla leva del cambio (!) e così via. "Il problema
dell'utilizzo dell'anti-spin - spiega l'ingegner Sakurada, responsabile
della Yamaha - è che ai piloti non piace molto e, comunque, non influenza
troppo i tempi sul giro, se non sul bagnato, che è la situazione nella
quale viene più frequentemente usata.
La moto, infatti, rispetto all'auto
ha una guida meno meccanica e più affidata alla sensibilità del pilota.
Questi, quando serve, si sposta avanti ed indietro sulla sella, spostando
il carico e recuperando trazione. In una F.1, invece, il pilota è immobile
e non può fare nulla quando in accelerazione le gomme posteriori pattinano.
Inoltre l'intervento dell'anti-spin è, in pratica, un limitatore di potenza
ed i piloti sono psicologicamente contrari. Quando si fermano dicono che
il motore non spinge". Esiste, ovviamente, la possibilità di inserire
e disinserire il dispositivo in corsa, tramite un interruttore meccanico
posto sul manubrio. "Anche questo è un problema - continua Sakurada -
in F.1 guidi seduto ed hai un cruscotto piuttosto chiaro sul volante,
sulla moto sembra che i piloti perdano il controllo della situazione finendo
per non ricordarsi in quale posizione è l'interruttore".
"Confermo - dice Carlo Fiorani, direttore
sportivo della Honda-Europa - tanto che, nell'occasione in cui abbiamo
parlato del problema con Jeremy Burgees, capo meccanico di Rossi - mi
è tornato in mente quel bellissimo cruscotto, di derivazione aerospaziale,
che la Honda utilizzava sulla NR 750 di serie e che proiettava i dati
nel vuoto, davanti agli occhi del pilota". "Il problema più grande - spiega
però Rossano Brazzi, il primo tecnico ad occuparsi di anti-spin sulla
Aprilia 500 bicilindrica - è graduarne l'intervento. L'alimentazione a
carburatori, infatti, non è abbastanza precisa. Con l'iniezione sarebbe
tutta un'altra storia". "Per noi il problema non era tanto la perdita
di trazione - continua Gianni Sandi, responsabile della 500 di Harada
- quanto quella di limitare l'impennata in accelerazione, ma poiché per
riuscirci dobbiamo limitare la potenza, e non ne abbiamo abbastanza, abbiamo
finito per non usare l'anti-spin". "Io lo uso, eccome - ammette invece
McCoy, re della scivolata, l'ultimo dei piloti che sembrerebbe averne
bisogno - e non solo sul bagnato: trovo dei vantaggi ad inserirlo anche
verso la fine della gara, quando le gomme sono finite ed iniziano a scivolare
di più. Il controllo migliora notevolmente". Un motivo, questo, ci sembra,
per approfondire gli studi. |