Valentino Rossi è stato battuto, piuttosto nettamente, in Qatar e immediatamente dopo è iniziato il balletto dei difensori d'ufficio.
A questa gente non è bastata la secca, onesta, ammissione di Rossi - dobbiamo lavorare! - ma ha preferito seguire la propria strada fatta di ipotesi e illazioni noncuranti del fatto che queste si contraddicessero fra di loro.
MOTOGP FACILI - Dapprima, l'anno scorso, si è insinuato che le MotoGP 800 fossero troppo facili, perché infarcite di elettronica, e dunque potessero essere guidate al limite persino dai fermi, sminuendo così quello che era stato dagli esordi uno dei cavalli di battaglia di Valentino: la capacità di adattarsi prima degli altri.
COLPA DELLE GOMME - Subito dopo sono state tirate in causa le gomme: è colpa delle Bridgestone, troppo avanti rispetto alle Michelin! Quasi una battuta che dimentica non solo la competitività della casa di Clermont, ma che ingiustamente condanna all'oblio anche il fatto che proprio grazie alle gomme francesi SuperVale ha vinto tanto, essendo riuscito meglio di ogni altro pilota egualmente gommato a sfruttare la gommetta miracolosa del sabato.
COLPA DEI GIOVANI - Successivamente a battere Rossi sono stati i giovani d'oggi - Lorenzo, Dovizioso, ma chissà perché NON Stoner - assai più veloci dei Sete Gibernau e Max Biaggi di qualche anno fa. Un'altra zappa sui piedi, perché in questo caso Valentino non avrebbe battuto due fior di campioni, ma solo piloti a fine carriera. Pensionati del mezzo manubrio.
L'EQUILIBRIO INSTABILE - L'ultima perla è che le MotoGP 800 - ma guarda che scoperta - non sono moto da competizione, prototipi, e dunque come tali sempre perfettibili, bensì mezzi capaci di vincere non in virtù del loro valore intrinseco, della loro tecnologia, bensì unicamente grazie ad un "raggiunto equilibrio" fra erogazione, accelerazione, frenata, tenuta di strada. Tutte doti, ahinoi, che l'attuale Yamaha M1 di Valentino Rossi non possiede. E così se ne va anche l'ultima medaglia di Rossi: quel "guidare sopra i problemi", dote ereditata nientemeno che da Wayne Rainey.
NULLA E' CAMBIATO - Ci sarebbe da ridere, se non fosse che chiunque abbia un po' di esperienza di corse sa bene che non solo la MotoGP, ma qualsiasi altro mezzo destinato alle competizioni o meno vive sul raggiunto equilibrio. Dice niente il famoso slogan della Pirelli "la potenza è nulla senza controllo"?
E controllo significa maneggevolezza, frenata, agilità.Un compromesso, insomma, che non è nato oggi con la MotoGP 800, ma c'era anche nel passato, dai tempi della MV Agusta di Agostini (e anche prima) sino alla Honda NSR 500 di Doohan, per sconfinare nel campo della produzione dove le Case, non dovendosi preoccupare solo del miglior tempo sul giro, sfornano mezzi il cui habitat, di volta in volta, può essere l'autostrada, i tornanti, il fuoristrada, la città. Mezzi, si potrebbe dire, dall'equilibrio specifico per l'uso al quale sono destinati.
La conclusione, ovvia, è che non è cambiato proprio nulla rispetto al passato. A parte, ovviamente, che l'equilibrio che ha consentito a Valentino Rossi di vincere per ben cinque stagioni consecutive è stato raggiunto anche da altri. Ciò non significa, però, che ciò che abbiamo visto a Losail sia destinato a ripetersi nelle restanti diciassette prove iridate. L'equibrio, oggi, è instabile. Esattamente come lo era negli anni a cavallo fra gli '80 ed i '90 quando in un decennio furono capaci di vincere il titolo ben sette piloti: Roberts, Lucchinelli, Uncini, Spencer, Lawson, Gardner e Rainey.
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Ernesto Emmi