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V Colonna
23/04/2008
SBK: Tardozzi: "Gli italiani si accontentano, per questo mai iridati in Superbike"

Nella "quinta colonna" del 25 febbraio avevamo lanciato una prima domanda sul perché non ci fosse stato sinora un italiano Campione del Mondo della Superbike e avevo anticipato la mia curiosità di ascoltare alcuni protagonisti di questa categoria.

Paolo|Flammini|Dalle loro risposte emergono alcuni elementi di riflessione che individuano con notevole chiarezza i motivi che ci hanno portato a mancare l'obiettivo del titolo, aprendo però degli spiragli di speranza.

Paolo Flammini, Amministratore Delegato della FG Sport, promotrice del Campionato Mondiale Superbike sin dai primi anni Novanta, fa una valutazione generale sul tema: "Finora il flusso dei migliori piloti italiani era indirizzato verso i GP. Da un paio di anni non solo per l'arrivo di Max Biaggi ma anche dei giovani, questa tendenza è cambiata e cominciano a presentarsi le condizioni per un italiano Campione del Mondo".

Un'inversione di tendenza che coinvolge molte squadre tra le quali quella della Yamaha Motor Italia "Per vincere bisogna avere una moto ufficiale e, fino ad oggi, nessuno ha avuto una moto per vincere- dice Claudio Consonni, responsabile dell'attività sportiva della Casa giapponese nella Superbike - In passato nessuno ha creduto fino in fondo ad un pilota italiano. Oggi Michel Fabrizio (sotto) è nelle condizioni di farlo. Ci vuole, però, un maggior coraggio da parte delle Case nell'investire sui giovani, come noi stiamo facendo oggi con Corti (e Bussolotti). Non sappiamo dove ci porterà questo programma ma è un Michel|Fabrizio|tentativo per far entrare in contatto stretto Claudio con il team ufficiale. E lo stesso sta facendo la Ducati con Nicolò Canepa che speriamo non debba finire come collaudatore. Uomini come Canepa, Corti e Polita non possono rimanere nella STK 1000 a vita!"

Per la verità, qualcuno una moto ufficiale l'ha avuta ed era un pilota di primo piano che veniva dai gran premi: Pierfrancesco Chili. "Non ho vinto il titolo mondiale perché non mi hanno dato una moto ufficiale - ci dice il bolognese, attuale commentatore de La7. E quando l'ho avuta ci sono andato vicino. Infatti, l'anno dopo non me l'hanno data più. Ci vuole anche una dose di fortuna: ruppi un motore a causa di una partita di sei pistoni difettosi, quattro rotti al banco e due sulla mia moto. Oggi è iniziato un lavoro più organico, si lavora per portare i giovani alla SBK; prima erano tutti rivolti alla GP e quando arrivavano in SBK era perché non avevano più nulla da dire dall'altra parte".

Chi ha sempre creduto nella Superbike una volta passato alla velocità è, invece, Fabrizio Pirovano, due volte vice campione del mondo nel 1988 e nel 1990. "Quando correvo io - ci dice il brianzolo che ora segue la Suzuki Euro Cup - con le 750 quattro cilindri c'era poco da fare contro le Ducati. Oggi i nostri si impegnano poco; gli basta essere protagonisti. Il campionato viene dopo. I giovani vincono una gara e si sentono già campioni".

Duro il giudizio di "Piro" che però non è solitario. Un altro pilota che è stato ai vertici della Superbike a cavallo degli anni Novanta e che oggi è alla guida del team Ducati, uno dei più Davide|Tardozzi|competitivi della categoria, Davide Tardozzi non si discosta molto dall'opinione dell'ex rivale. "Ad un certo momento potevamo farlo perché avevamo il pilota più forte ma non ci siamo riusciti: era Chili. Attualmente il grosso limite è la mentalità latina che non fa sentire i nostri piloti umili, parte di un gruppo. E troppo presto si considerano delle superstar anche se non hanno vinto nulla o poco. Grandi potenzialità sono disperse per questo. Troppo codazzo! Spesso i nostri piloti si accontentano di classificarsi "primi degli italiani" o "primi delle Ducati", ecc. Essere primi di qualcosa nasconde una mancanza di stimoli a volere di più: essere primi. e basta!".

Girando per il paddock il mondiale si notano degli atteggiamenti c

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