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L’assetto a Rio: parla Caprara Nel 1995, per correggere questi errori, furono spesi 30 milioni di dollari sul circuito. Nonostante questo l'asfalto rimane fra i più sconnessi del campionato, risultando particolarmente impegnativo per le sospensioni. Ma non solo questo caratterizza il Jacarepaguà. Sul suo rettilineo (1.100 metri, uno dei più lunghi del motomondiale) i giochi delle scie possono far perdere o guadagnare diverse posizioni. Il difetto maggiore del tracciato brasiliano riguarda comunque la superficie della pista: l'asfalto si sbriciola, si spacca e, se piove, diventa quasi impossibile stare in piedi. Può capitare di ritrovarsi con la moto che pattina in sesta. La pista è larghissima, ma per trovare un po' di grip si tende a stare tutti su una striscia di un metro, un metro e mezzo. Chi esce da lì, lo fa a suo rischio e pericolo. Questo vuol dire che superare è difficile e pericoloso. Il rettilineo è lunghissimo, quasi noioso. Frenata e ingresso nella prima curva in seconda cercando di evitare le buche. o almeno di assecondarle. Tutta in seconda, aprendo e togliendo gas fino alla curva. da quarta, il curvone veloce si affronta in terza, di nuovo seconda, il curvone dietro ai box in seconda, sesta, frenata e terza, tutta in terza questa parte fino alla esse che si affronta in seconda, terza, terza, seconda, in questo punto l'asfalto è spesso rovinato, con avallamenti, buche, cambi di asfalto. Quarta, seconda, terza e seconda prima dei box. I piloti fanno tutti le stesse traiettorie e quella zona tende a gommarsi e a diventare almeno decente. Il problema è che in prova si viaggia sempre e solo sulla linea ideale e in gara, invece, quando si vorrebbe superare si trova il resto della pista sporco, senza grip con l'asfalto in condizioni pessime. Il sorpasso è davvero difficile e rischioso.
“Il primo obiettivo è di rendere la moto guidabile nei
cambi di direzione, veloci e medio veloci, e ciò si può
ottenere indurendo l'ammortizzatore posteriore, in modo da evitare l'abbassamento
della moto in accelerazione – spiega Pietro Caparra, tecnico di
pista del MS Aprilia in MotoGP - Il problema con questo tipo di soluzione,
però, è che, trovata l'agilità, la moto diventa
nervosa e per il pilota è difficile mantenere un buon ritmo.
L'utilizzo di una molla posteriore dura ha anche un altro effetto, fa
lavorare di più la gomma, mettendone a rischio la durata in gara.
Per questo, di solito, si cerca di mediare ammorbidendo la molla ed
indurendo il precarico dell'ammortizzatore posteriore, in modo di "sostenerlo"
in accelerazione. Necessariamente poi, si lavora sulla frenatura idraulica
in modo da mantenere un buon compromesso sulle velocità di esercizio
della sospensione posteriore per ottenere un discreto bilanciamento
dal punto di vista della trazione e della stabilità. |
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