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Ducati 9/11/2005
In sella alla Desmosedici, belva rossa

Noi di GPOne, come Oscar Wilde, sappiamo resistere a tutto, tranne che alle tentazioni. E poiché è il sogno di ogni motociclista, guidare una MotoGP, per questo motivo anche se, fin dall’inizio, ci siamo sempre e solo occupati di sport, facciamo una eccezione per il nostro Flavio al quale, dopo una stagione di motomondiale, la Ducati ha concesso di guidare la Desmosedici GP5 di Capirossi.

di Flavio Felsina
Non accade spesso ma a volte succede. Non è da tutti provare una moto da corsa. Praticamente non capita mai ai comuni mortali di mettere il sedere su una motogp. Meno spesso te le mettono in moto e di dicono che hai quattro giri da fare sull’ultima pista del mondiale. Beh, a volte succede.

L’occasione è quella che non ti fa dormire la notte prima, nemmeno ci fosse la commissione di laurea che ti aspetta fuori la porta prima del faditico esame. Calarsi, o meglio, far finta di calarsi nei panni del pilota, però, è divertente, ma stressante. Molti occhi ti guardano, qualcuno sorride per la tuta che non maschera i chili da scrivania, ma chisseneimporta.

La rossa con la quale abbiamo un’appuntamento di pochi minuti, quasi sette per la precisione, è la compagna fedele e scorbutica della stagione 2005 di Loris Capirossi, quella Ducati Desmosedici GP5 che a Phillip Island lo ha scaraventato in aria procurandogli una lesione al polmone. Non male.

Ma lei è lì, oggi amica occasionale di molti colleghi che salgono tutti con lo sguardo fisso e scendono come se fosse finito il giro dalla giostra, forse la più costosa che abbiano mai usato. Se consideriamo che il leasing di una motogp destinata ad un team privato costa 1,5 milioni di dollari, per questa ufficialissima GP5 certamente il prezzo (virtuale, perché non c’è un cartellino da nessuna parte), sale e di molto. Diciamo che questi (quasi) sette minuti possono essere costati, facendo un rapido conto della serva, oltre 10 mila euro.

Quattro persone intorno, uno prende l’avviatore e lo poggia sulla ruotona posteriore della Ducati che inizia a borbottare. Stare nei paraggi senza tappi significa affidarsi senza dubbio agli apparecchi acustici, Capirossi avverte: “Se ti aspetti un mostro, un dragster, levatelo dalla testa, puoi girare anche solo con una marcia se vuoi. Diverso è se vuoi sentire la coppia vera, quella che c’è quando il contagiri sale. Di coppia la Gp5 ne ha tanta, ma stai attento ai freni, sono in carbonio e devi scaldarli.” Capirò al secondo giro, il primo lanciato, cosa significa quest’ultima affermazione di Loris…

Manubrio nelle mani, un’altra cosa che mi devo ricordare è che il cambio ha gli innesti capovolti rispetto alla mia moto di tutti i giorni; prima in alto e le altre in basso, vedremo. Esco dai box, meno male che ci sono i tappi, la prima curva arriva senza accorgersi di averla passata. La Gp5 fa finta di niente. Fa finta di non capire che la pista non l’ho mai vista prima e che per i miei gusti ci sono troppi bottoni sul manubrio e troppe informazioni sul cruscotto. I pulsanti sono 6, due esclusi (buoni in gara per chissà quale diavoleria), uno da non toccare, uno per la mappatura anti-velox del box che fa arrivare la Desmosedici a 60 km/h e due ultimi tastini (uno rosso e uno verde) che servono per cambiare mappatura dell’iniezione, una cattiva, l’altra che taglia di poco la cavalleria a disposizione. Troppi e sale la confusione.

Le traiettorie, in effetti, basta pensarle. La Gp5 scende docile e perdona qualche indecisione nell’impostazione iniziale. La staccata è… semplicemente un problema. Piloti normali, o della domenica o se volete del sabato pomeriggio come me non riescono a scaldare i disconi in carbonio della belva. Il risultato, quello che sibillinamente Loris cercava di avvertire, è che in fondo al rettilineo l’impressione è di finire dritti, nella sabbia.

Il secondo giro va meglio, decisamente. Le traiettorie (quasi) le vedo. E il ginocchio, anche se non sembra, inizia a sfregare a terra. All’uscita della curva che immette nel rettilineo è ora di sentire la velocità. Oddio. Solo appoggiando le marce il manubrio sembra sfuggire di mano e il sedere scivola indietro. La curva successiva arriva troppo rapidamente, due marce giù e dentro. Tempo di rientrare, mi sembra di essere stato fuori una vita.

Alla fine nel box si ride, le mie prodezze non arrivano nemmeno ad avvicinare un tempo della 125, non mi sarei qualificato in 250, figuriamoci in motogp.

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