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il fatto - 28/11/2003
Il dramma di Kato: "Fu un errore umano"

Un errore umano. Ci sono voluti otto mesi alla commissione d'inchiesta, presieduta dal docente di tecnologia industriale dell'Università Nihon di Tokyo, Ichiro Kageyama, per appurare che non è stato un guasto meccanico, ma solo un normalissimo errore di guida, a causare la morte di Daijiro Kato nel drammatico incidente di Suzuka.
"'Siamo pressochè certi che Katoh abbia perso il controllo, con ogni probabilità per una brusca frenata ritardata, della sua moto, che ha cominciato a zigzagare sempre più paurosamente fino a sbalzare di sella il pilota che ha battuto violentemente il capo perpendicolarmente contro barriere di gommapiuma, dopo che la moto aveva urtato lateralmente contro barriere di pneumatici separate inspiegabilmente da quelle di gommapiuma da un vuoto di oltre un metro. In altra situazione, l'incidente forse non avrebbe avuto conseguenze mortali", ha detto Kageyama, chiamando così in causa la pista di Suzuka.
Una ovvietà, quella di scaricare parte della colpa dell'incidente sulla barriera di cemento, perché è evidente che se in quel punto non ci fosse stato il muro, ma uno spazio aperto, Kato nel migliore dei casi sarebbe andato solo dritto, e nel peggiore sarebbe caduto, tornando poi ai box sulle proprie gambe. Ma non è andata così. Il pilota giapponese, invece, è rimasto intrappolato nella protezione morbida e, mentre il suo corpo rimbalzava in aria con una rotazione orizzontale, come un disco lanciato da un discobolo, per un attimo il capo è rimasto immobilizzato provocando la frattura mortale alle cervicali.
"E' stata questa la causa del decesso, non il successivo atterraggio sull'asfalto", ha spiegato la Commissione, che ha anche rilevato, però, che la rapidità dei soccorsi potrebbe aver aggravato lo stato del pilota, anche se non è stata la causa diretta della morte.
Tutte cose, queste, evidenziate subito dopo il dramma, senza bisogno di analisi particolarmente approfondite. Dove invece l'Università di Tokyo fa veramente luce è quando nega che sulla RC211V di Daijiro fosse installato il famigerato acceleratore ride-by-wire.
"''Premesso che le case motociclistiche hanno segreti industriali, agli esami accurati condotti sulla moto di Katoh non è risultata la presenza di un simile meccanismo. Né di alcun guasto meccanico sulla moto''.
Finalmente una notizia, anche se c'è da rilevare che la Honda, per prima, aveva negato la presenza del marchingegno sulla moto di Daijiro.
La commissione ha poi ammesso che esistono margini di dubbio e situazioni non chiare, come il fatto che la Honda cinque cilindri fosse in folle con la frizione disinserita in un punto dove sarebbe dovuta essere inserita. Un fenomeno, questo, però probabilmente dovuto alla frizione a slittamento controllato. Sono stati esclusi anche contatti con altri piloti poco prima dell' incidente avvenuto al terzo giro del Gp.
Insomma, la classifica fatalità, alla quale la Commissione suggerisce di porre rimedio, nel futuro, con correttivi atti a diminuire le prestazioni delle moto e con studi sulla possibilità di proteggere la delicata zona del collo del pilota con dispositivi appropriati atti ad immobilizzarla. nell'automobilismo esistono, anzi da quest'anno è stato reso obbligatorio anche in F.1 (nella Cart americana lo era già da tempo) il particolare collare chiamato HANS (dead and neck safety system).
Il problema è che, così com'è fatto, l'HANS non può essere utilizzato dai motociclisti, che hanno bisogno di una maggiore mobilità rispeto agli automobilisti.

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