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PARLIAMO DI ROSSI, DELLA DUCATI E DELLE STRATEGIE DI GARA
Il GP di Barcellona ci ha dato l'illusione che finalmente sia arrivata una antagonista per la Honda e Valentino Rossi. In realtà il successo della Ducati di Capirossi, sul circuito di Montmelò, ha dimostrato qualcosa, ma non certo che la Desmosedici ha raggiunto il livello di competitività della RC211V.
Se, infatti, Loris ha vinto con soli tre secondi di vantaggio su Rossi, dopo che questi ne aveva perso otto in una uscita di pista, ciò significa che, senza l'errore, Valentino avrebbe conquistato il suo quarto successo stagionale.
Inutile, in proposito, dire che Rossi aveva già cercato la fuga senza riuscirci all'inizio della gara: uno che fa suo il giro più veloce nel 21° passaggio ha in mano il Gran Premio. Se lo perde è solo perché ha sbagliato il modo di gestirlo.
In questo Valentino Rossi è assai diverso dal suo predecessore, Mick Doohan, ma anche da Giacomo Agostini, una coppia che mai si è preoccupata troppo di dare spettacolo. Le gare dei due campionissimi, infatti, si risolvevano fin dai primi giri con una fuga. Una tattica, questa, utilizzata spessissimo da "Fast" Freddie Spencer, che ci riusciva in un'epoca in cui non esistevano ancora le termocoperte. Segno, questo, di una sensibilità fuori del comune.
Rossi, come Angel Nieto ai suoi tempi, preferisce infatti non rischiare troppo in partenza, rimanere nel gruppo, per poi sfoderare da metà gara in poi la sua arma migliore: la continuità. Non entriamo nel merito se questa dote sia più frutto delle sue doti di guida, piuttosto che dell'equilibrio della moto che ha a disposizione. Quel che è certo è che per battere Rossi bisogna andare forte nei primi giri e prendere un certo vantaggio. Quella di Barcellona, per Vale, è dunque stata una sconfitta anomala, anche se ha avuto il pregio di mostrare fino in fondo che il vantaggio della RC211V 2003 sulla concorrenza, è ancora molto elevato. Non così elevato come lo era all'inizio del 2002 per l'insipienza della Yamaha M1, ma insomma ancora ragguardevole.
Del resto i numeri parlano chiaro: nelle sei gare finora disputate Rossi ha percorso nonostante una condotta di gara prudenziale ben 69 giri in testa, Gibernau e Capirossi ne hanno effettuati 21 ciascuno, Bayliss 10 e Biaggi e Barros 8 ciascuno.
Una semplice somma consente poi di scoprire che la Honda di giri al comando può vantarne complessivamente 98, contro i 31 della Ducati e gli 8 della Yamaha.
Potrebbe sembrare una equa ripartizione, se non fosse che i giri al comando della Ducati sono sempre frutto di fantasmagoriche partenze e di rischi elevati, proprio il momento in cui il nostro Valentino preferisce stare abbottonato.
Evidentemente, come ha dimostrato il GP di Catalogna, se lo può permettere...quasi sempre.
Se, infatti, andiamo a riguardare i Gran Premi in cui ha perso, scopriamo, invariabilmente, che ciò è accaduto perché Rossi non ha voluto prendere alcun rischio. Rischiando appena un po' di più, infatti, avrebbe potuto, come sempre, vincere.
A Welkom, se ricordate bene, Vale perse molto tempo alle spalle di Bayliss, ma poi rimontò alla grande sino ad arrivare ad un soffio da Gibernau, rinunciando all'ultimo attacco. Le Mans, d'altra parte, era una gara già vinta, rimessa in discussione, nella seconda manche bagnata, dal grande carattere dimostrato da Sete (qui addirittura Vale si autoaccusò di non essere stato abbastanza duro), mentre di Barcellona, abbiamo già parlato.
Qual'è, infine, il senso di queste riflessioni?
Uno solo, per battere Rossi bisogna costringerlo a rischiare molto nei primi giri, quando non gradisce farlo. E', forse, questa, la sua unica debolezza. Chi avrà il fegato per sfruttarla, ad Assen?

23/6/2003

 

 

 

 

 

 

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